Qualcuno ha già iniziato a ribattezzarlo l’oro bianco. Perché il prezzo del latte sta schizzando alle stelle. E i caseifici associati alla CNA devono fronteggiare anche la raffica di aumenti che stanno già colpendo tutti. La CNA di Viterbo e Civitavecchia, al pari di quella nazionale, accende il faro su una situazione che sta diventando insostenibile. Nel capoluogo così come nel resto della Tuscia, nonostante l’altissima qualità del prodotto finale.
Questa la situazione alla Piccola Formaggeria Artigiana, Viterbo. “Il problema non è solo il costo del latte – dice Marco Borgognoni -. E’ un insieme di aumenti non spalmabili sul prezzo del prodotto, quindi bisogna essere pronti a rimettere qualcosa. Se è una questione di un mese o due si può andare avanti, se no resisterà solo chi è più forte. Il latte ovino a 1,50 euro non si può comprare: dovevo scaricare e non l’ho fatto, preferisco non acquistare e non produrre sia per i costi energetici che per quelli del latte. Per me è una questione più che altro energetica: da quando ho aperto, la bolletta è aumentata di 11 volte. Fosse stato solo il prezzo del latte, questo si sarebbe potuto assorbire, se non ci fosse stata l’impennata dei costi produttivi. Se il prezzo del latte resta lo stesso, muore il settore primario”.
Al Caseificio Cioffi “i problemi sono due: il caro energia e il prezzo del latte. La prima – spiega Mauro Cioffi – solo negli ultimi due mesi è raddoppiata e aumenterà ancora di più. E per il latte ogni due giorni la cooperativa ci chiede un aumento. La politica in Italia è far chiudere le stalle. Il latte italiano è ricercato, hanno l’oro bianco in mano: quando c’è poca materia e tanta richiesta, il prezzo va alle stelle. Noi stiamo andando benissimo, fortunatamente abbiamo un prodotto di qualità che riusciamo a vendere, coprendo così i costi attuali. Ma ci siamo adeguati sul prezzo di vendita, perché anche noi dobbiamo far quadrare i conti alla fine del mese. A preoccuparci, è l’energia”.
Dal capoluogo alla provincia: il prezzo dalle stalle alle stelle è sempre quello. Qui Alta Tuscia Formaggi, Bagnoregio: “La situazione è difficilissima. La grande distribuzione organizzata – commenta Fabio Recagno – ha riconosciuto fortissimi aumenti al pecorino romano, ma se ciò vale per un prodotto e non per gli altri, ci si può immaginare a livello economico cosa stia succedendo. Adesso è ancora molto presto per capire quello che succederà, fino a novembre le cose non saranno chiare, poi esploderà il problema. Se devo comprare la materia prima a 1,50 e vendere il formaggio a un prezzo alto, cosa accadrà nel caso di mancato acquisto da parte del consumatore? Il latte vaccino a spot ha raggiunto i 72-75 al litro più Iva. Ho fatto le mie scelte: lavoro meno latte, pago le bollette dell’energia elettrica, che sono quadruplicate in tre mesi, e aspetto che il governo faccia qualcosa se vuole salvare i posti di lavoro. Con questi costi di trasformazione e con la materia prima a tali livelli, si fa il minimo per mantenere attivi i clienti e non far mancare il prodotto”.
Il salto è verso Civita Castellana, da Formaggi Chiodetti. Dove Giovan Battista Chiodetti riassume la situazione così: “E’ fuori controllo, legata anche a dinamiche di carenza di prodotto”. Scendendo nei particolari, “molte stalle hanno chiuso, si è ridotta la disponibilità, c’è grande richiesta di pecorino romano. Se i costi devono assorbirli interamente le aziende, non è possibile sostenerli. Si è creato un cortocircuito e se continua così sarà sempre peggio. Stesso discorso sul latte vaccino: manca almeno il 20 per cento e ciò ha fatto lievitare il prezzo di oltre il 30 per cento dall’inizio dell’anno a oggi. Per rendere sostenibile l’attività dell’azienda, bisogna aumentare i prezzi. C’è poco da fare”. Quanto? “Almeno del 15-20 per cento”. Le conseguenze a lungo termine? “La grande distribuzione non riconosce gli aumenti, ne consegue un indebitamento della parte produttiva. Per sopravvivere, bisogna necessariamente fare i conti ogni mese e in base a quelli stabilire i prezzi, mettendoci sopra quel minimo che garantisca la sostenibilità, facendo utile. Poco, ma l’utile deve esserci. Non c’è alternativa”.
CNA Agroalimentare ha individuato una serie di possibili soluzioni nel breve periodo: aiuti agli allevatori, in modo da riportare il prezzo del latte su valori accettabili, e ai trasformatori, in particolare per le bollette di energia e le rate dei mutui; bandi accessibili, con significativi contributi a fondo perduto per fotovoltaico ed energie rinnovabili. “Un aiuto può arrivare dal bando ‘Agrisolare’ sul fotovoltaico – dice la segretaria della CNA di Viterbo e Civitavecchia, Luigia Melaragni – anche se non tutti hanno la possibilità di accedervi, per via delle caratteristiche dell’impresa. Ma c’è bisogno anche di interventi seri e condivisi a livello europeo, che guardino oltre il breve periodo e vadano a incidere in maniera strutturale su quei problemi che si stanno riversando, tutti insieme, sulle spalle delle imprese”.