Centotrentamila imprese coinvolte. E centomila addetti a tempo pieno che salgono a 200mila nei fine settimana. Per sfornare circa otto milioni di pizze al giorno, quasi tre miliardi in un anno. Per un fatturato di 15 miliardi. E un movimento economico superiore ai 30. Il business della pizza in Italia è uno dei più attivi fattori di sviluppo economico. Lo rileva una indagine condotta dal Centro studi CNA in collaborazione con CNA Agroalimentare in un campione nazionale di imprese del settore altamente rappresentativo.
Niente crisi, siamo “pizzaiuoli”
Per la pizza non c’è crisi che tenga. La crescita è costante. Tra il 2015 e quest’anno le imprese con attività di pizzeria sono cresciute da 125.300 a 127mila (dati aggiornati al 31 marzo scorso). Disaggregando questo risultato emerge che le attività con somministrazione sono oltre 76mila (di cui quasi 40mila ristoranti/pizzeria e più di 36mila bar/pizzeria), 36mila e passa le attività senza somministrazione (15mila rosticcerie/pizzeria, 14mila pizzerie da asporto e il resto gastronomia/pizzeria), oltre 14mila infine le panetterie che offrono tra i loro prodotti anche la pizza.
A livello regionale, è la Campania a farla da padrona in termini assoluti, con il 16% delle attività. La seguono, nell’ordine, Sicilia (13%), Lazio (12%), Lombardia e Puglia (10%). Limitandosi alle vere e proprie la disaggregazione, a condurre la graduatoria sono Campania e Lombardia (12%), seguite da Lazio e Toscana (9%) e Sicilia (8%).
Una sorpresa arriva dal rapporto pizzerie/abitanti. Stavolta a primeggiare è l’Abruzzo, con un’attività ogni 267 residenti. Precede Sardegna (un’attività ogni 273 abitanti), Calabria (285), Molise (307) e Campania (335).
A tavola da protagonista
Mentre diventava “cibo globale”, la pizza cresceva anche nell’immaginario. Con il tempo si è fatta strada la consapevolezza che dietro la pizza ci siano storia, tradizione, cultura.
E che il suo successo attinga tanto a materie prime di altissima qualità quanto, forse soprattutto, al fattore umano: la capacità artigianale del pizzaiuolo. Un’arte non a caso riconosciuta “patrimonio dell’umanità” dall’Unesco. Una consapevolezza che, prima di diventare comune all’estero, era stata assimilata in Italia. Nel nostro Paese fino a non molti anni fa esisteva una spaccatura: da una parte la ristorazione, dall’altra la pizza.
Ora la pizza non è più un piatto da poveri: a tavola si è conquistata un ruolo da protagonista.
A vincere è la tradizione
La quasi totalità delle pizze tonde “da piatto” costa tra cinque e dieci euro.
Per la precisione, il 55% tra cinque e sette euro. E il 37% tra sette e dieci euro. Sotto i cinque euro costa il 4% delle pizze. E lo stesso 4% vale la fetta di mercato delle pizze oltre
i dieci euro. A rimanere la preferita da oltre tre quarti dei consumatori, il 78,8% per essere precisi, è la pizza tradizionale: marinara e margherita, napoletana o capricciosa.
Al secondo posto, ma distanziatissima, è la pizza gourmet (12,1%), quella che fa capolino tra le ricette degli chef più premiati o semplicemente più telegenici, che in pochi anni di vita ha bruciato le tappe. Il 6,2% dei clienti sceglie (o è costretto a scegliere per motivi sanitari) le pizze speciali, perlopiù biologiche o senza glutine. Infine, la pizza con gusti fai-da-te si ferma al 2,9%.
Trionfa la tradizione anche nella tipologia di pizza: la tonda raccoglie il 93,9% delle preferenze, seguita – ma a distanza lunghissima – da pinsa romana (3,1%) e pizza a metro (3%).E chi non si limita alla pizza, quale alimento chiede in aggiunta?
L’abbinata preferita dai “pizzofili” è con i fritti (51,5%), seguiti nell’ordine da antipasti tradizionali (24,2%), dolce/dessert (12,1%), una seconda pizza (6,2%), antipasti di pesce crudo e stuzzichini appaiati in coda con il 3% ciascuno.
Il 78,8% delle pizzerie assicurano il servizio a tavola, il 21,2% la consegna a domicilio.
La famiglia è la tipologia di cliente più assidua delle pizzerie (75,8%), seguita da giovani (12,1%), turisti (7,1%), meeting (2,5%), altre (2,5%).
L’84,8% delle pizzerie adopera il forno a legna, il 9,1% il forno a gas e il 6,1% il forno elettrico.
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