Neppure Civitavecchia inverte la tendenza. Anche qui, secondo le proiezioni dell’Osservatorio CNA, nel 2018 le imprese lavoreranno fino al 16 agosto per pagare i tributi e solo dopo questa data, dunque nei restanti 136 giorni, per soddisfare i consumi personali e della famiglia.
Ma, oltre alla data del tax free day, a denunciare la fatica e le difficoltà di chi fa impresa, è un numero: 62,8 per cento. Si tratta del peso complessivo del fisco sul reddito d’impresa (total tax rate). Un dato che è superiore alla media nazionale e che fa scivolare Civitavecchia di due posti, dal 97° al 99°, nella graduatoria generale.
In più, secondo lo studio della CNA, anche qui si assottiglia ulteriormente il reddito disponibile, pari a 18.597 euro (- 120 euro rispetto a un anno fa; – 958 se il confronto è con il dato del 2011).
“Sono numeri da vertigine. Specialmente per le piccole imprese, una pressione fiscale così elevata costituisce il problema più grande. Senza un alleggerimento e una distribuzione del carico più equa, pensare al rilancio dei settori produttivi e alla creazione di occupazione è davvero impossibile”, commenta Alessio Gismondi, presidente della CNA di Civitavecchia, che invita alla lettura dei dati comunali elaborati dall’Osservatorio.
Nel dettaglio, l’incidenza dell’Irpef e dell’aliquota Ivs (Invalidità – vecchiaia – superstiti) è pari al 40 per cento, delle imposte regionali al 7,2 e di quelle comunali al 15,6. Interessante la variazione registrata dal 2011 al 2018: nel primo caso si rileva un incremento del 6,3 per cento, mentre nel secondo c’è stata una bella sforbiciata del 9,4 per cento. “I tributi comunali, nello stesso periodo, sono saliti del 5 per cento. Un salasso insostenibile e che suscita indignazione, perché a cifre così elevate – sottolinea Gismondi – non corrispondono certo servizi efficienti. Anzi. I cittadini sono costretti a denunciare quotidianamente lo stato di abbandono in cui versano intere zone della città”.
Nelle proiezioni della CNA, il total tax rate si abbassa di 1,2 punti, al 61,6 per cento, nel caso delle aziende che hanno optato per l’Iri. Ma la percentuale delle imprese che scelgono questo regime è ancora troppo bassa.