Artigiani e piccoli imprenditori che avevano auspicato una fine vicina della lunga traversata nel deserto per aumentare l’accesso al credito e per aiutare la ripartenza del mercato dell’edilizia, dovranno ricredersi. La marcia è tutt’altro che finita. Il Decreto Crescita, anzi, la starebbe allungando. In particolare con due strumenti legati al credito e al fisco, solite bestie nere dell’Italia che lavora. Ad affermarlo è la CNA (Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa). Nel mirino della Confederazione l’abolizione dell’autonomia regionale in materia di credito e la cessione dei crediti relativi alle detrazioni fiscali per i lavori di riqualificazione energetica e per l’adozione di misure antisismiche.
Il Decreto crescita prevede l’abrogazione della Riforma Bassanini nella parte che consente alle regioni di integrare le garanzie pubbliche e private e ha permesso finora alle risorse del Fondo di garanzia di operare al meglio, contenendo gli effetti del razionamento del credito. Per rendere l’idea gli esperti della CNA hanno fatto una comparazione. “Tra il 2011 e il 2017 – spiegano – in Toscana, regione che ha accolto le possibilità offerte dalla Riforma Bassanini, la riduzione dello stock di credito alle imprese è stata inferiore in maniera rilevante alla media nazionalee, soprattutto, al risultato dell’Emilia Romagna che si è comportata in maniera opposta”. Scendendo nei dettagli, per le imprese fino a cinque dipendenti la riduzione del credito nel periodo 2011/2017 in Toscana è stata del 12,5 per cento contro il -15,2 per cento della media nazionale e il -18,9 per cento dell’Emilia Romagna. Per le piccole imprese, quelle fino a venti dipendenti, il calo è risultato del 22,7 per cento in Toscana, del 26,7 per cento in Italia, del 32,4 per cento in Emilia Romagna. Né è cambiato l’andamento per le imprese di maggiori dimensioni: -10,2 per cento in Toscana, -17,6 per cento nella media, -18,6 per cento in Emilia Romagna.
Artigiani e piccole imprese giudicano molto negativamente anche la misura che consente all’impresa esecutrice dei lavori di anticipare al cliente il credito d’imposta sotto forma di sconto in fattura, con la possibilità di recuperarlo in cinque anni.
Un’ipotesi che scarta a priori le piccole imprese, che non dispongono dei polmoni finanziari sufficienti e quindi sono costrette a lavorare per i grandi gruppi, sottostando alle loro condizioni e senza la possibilità di emanciparsi e di crescere.
Non è convincente nemmeno l’emendamento presentato dai relatori, che introdurrebbe la possibilità di un’ulteriore cessione dei crediti a propri fornitori di beni e servizi.
Ipotesi che non intacca la complessità delle procedure, mentre rimarrebbero inalterati i rischi per le piccole imprese di restare alla mercé dei grandi fornitori, che sarebbero gli unici a poter prendere in carico queste opere per poi assegnarle in una sorta di sub-appalto. “Avevamo proposto di poter cedere il credito d’imposta sulla spesa effettuata direttamente alle banche – spiegano in CNA – per evitare che alle piccole imprese non sia possibile acquisire il credito per carenza di risorse finanziarie o di capienza fiscale tale da consentire la procedura di compensazione”.