“Sull’emergenza Neet finalmente arriva una piccola, ma buona, notizia dall’Istat. I giovani italiani tra i 20 e i 24 anni che non lavorano, non studiano e non si formano (dall’inglese, Neet), nel secondo trimestre di quest’anno, sono finalmente diminuiti. Lo stock complessivo si è alleggerito di 128mila unità rispetto al 2015, passando in un anno da 935mila a 807mila. E’ una notizia sicuramente da iscrivere tra gli avvenimenti migliori accaduti in Italia negli ultimi mesi. Allo stesso modo non si può dimenticare, né tanto meno nascondere, il grandissimo problema che ci rimane davanti, praticamente intatto.
Lo scarto, pesantissimo, tra il numero gigantesco di Neet italiani e i numeri, di tutt’altra portata, del resto d’Europa. Con il 31,1 per cento della popolazione di riferimento, alla fine del 2015 (dato Eurostat) il nostro Paese era saldamente in testa alla poco edificante, per tutti i 28 partner europei ma in particolare per l’Italia, graduatoria continentale dei Neet della fascia 20-24 anni. Damigella del (dis)onore è la Grecia, che segue cinque punti sotto. La Spagna è al 22,2 per cento. La Francia al 18,1. Il Regno Unito al 15 per cento. La Germania al 9,3. La media dell’Ue è pari al 17,3 per cento. L’Olanda, quasi irraggiungibile, è il Paese piazzato meglio nella classifica, al 7,2 per cento. Non c’è molto da commentare di fronte a questi numeri. Bisogna soltanto agire. E’ indispensabile intervenire in tre direzioni: la formazione, la scuola, l’apprendistato. Non siamo all’anno zero. Il Governo si è mosso lungo tutti tre gli assi. Ma è urgente un maggiore coinvolgimento delle imprese, e in particolare delle piccole imprese, nella messa a punto, passo dopo passo, di strumenti fondamentali per il futuro dell’Italia.
L’apprendistato, in particolare, è considerato uno strumento senza dubbi positivo: prevede dispositivi che dotano il giovane di competenze in grado di avviarlo a un lavoro qualificato. Tuttavia, risulta gravato da una eccessiva burocrazia che ne scoraggia l’utilizzo da parte delle imprese poiché continua a essere normato dalle singole regioni, talvolta anche con grandi differenze. È necessario, dunque, superare le differenze regionali introducendo una unica normativa nazionale che, in accordo con la riforma costituzionale che tende a riordinare la materia della formazione e delle politiche attive del lavoro, oltre a superare le incertezze relative all’utilizzo dello strumento possa facilitare la mobilità sul territorio nazionale dei giovani lavoratori formati col contratto di apprendistato”.
Lo si legge in un comunicato della Cna.