Il 5,1 per cento del pane prodotto non viene venduto. È il dato emerso dalla rilevazione condotta in dodici panifici artigianali della provincia di Viterbo associati alla CNA, che per cinque mesi, da febbraio a giugno 2022, alla fine di ogni giornata hanno annotato la quantità di pane, pizza bianca e panini rimasta negli scaffali, per un totale di 4.098 osservazioni. Con questa attività, preceduta da numerosi incontri volti a individuare le principali fonti di spreco, e con la successiva messa a punto delle azioni da attuare per ridurre il surplus, i panificatori hanno partecipato al progetto europeo “Lowinfood”, nato dall’urgenza di ricercare soluzioni innovative per combattere lo spreco di cibo. Progetto che ha come capofila l’Università degli Studi della Tuscia e del quale la CNA di Viterbo e Civitavecchia è partner insieme con altre ventisei realtà operative in dodici Paesi: nove centri di ricerca, otto realtà specializzate nell’innovazione, due istituzioni pubbliche, sette tra imprese e associazioni che operano nel settore food, un gruppo per la comunicazione.    

Il lavoro svolto e le cinque azioni da mettere in pratica, riassunte nel manifesto “Una mano contro lo spreco!”, sono stati presentati in una conferenza stampa da Clara Cicatiello, ricercatrice del Dibaf (Dipartimento per l’Innovazione nei sistemi biologici, agroalimentari e forestali), Claudio Cavalloro e Luca Fanelli, rispettivamente presidente e responsabile di CNA Agroalimentare di Viterbo e Civitavecchia, Ermanno Fiorentini, presidente dell’Associazione Provinciale Panificatori e Pasticceri di Viterbo, aderente a CNA.

Per la prima volta in Italia è stato stimato il dato relativo al pane invenduto a fine giornata: è, in media, il 5,1 per cento di quello prodotto, che si traduce in una perdita del 5,5 per cento rispetto all’incasso giornaliero. La gestione del surplus è la principale problematica che gli imprenditori hanno evidenziato nella discussione sugli sprechi nella filiera della panificazione. Cosa fare per prevenire l’attuale situazione? Con i panificatori e CNA, abbiamo individuato cinque principi”, ha spiegato Cicatiello, osservando che “il pane è un prodotto di valore”.

Ed ecco che è stata definita una vera e propria roadmap. È importante che il panificatore registri quotidianamente il surplus. E che punti sulla fidelizzazione del cliente, incentivando le ordinazioni per programmare meglio le vendite e attraverso la sensibilizzazione sul tema ovvero rendendo visibili le azioni anti-spreco.

“Va inoltre favorita la donazione dei prodotti invenduti, per esempio a enti benefici, per il consumo umano”, ha proseguito la ricercatrice, che ha quindi evidenziato quanto sia necessario un rapporto stretto tra imprese, CNA e istituzioni locali per affrontare il problema con azioni collettive.

È stato ricordato, a questo proposito, che la legge del 2016 riguardante “la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi” prevede la possibilità, per i Comuni, di applicare una riduzione della Tari alle utenze di attività che producono e distribuiscono beni alimentari nel caso di donazione gratuita agli indigenti.

CNA ha già assunto l’impegno a proporre agli Enti locali di lavorare insieme, perché non è accettabile che si sprechi cibo, tanto più in un momento così carico di difficoltà e di incognite per tutti, imprenditori e famiglie”, ha detto Fanelli.

E che questo è un periodo drammatico per le imprese dell’arte bianca, lo hanno evidenziato Cavalloro e Fiorentini. “L’esplosione dei costi energetici sta minando la redditività delle nostre imprese. Le bollette registrano incrementi dal 300 al 500 per cento: ciò significa che c’è un aggravio di costi, per un panificio di medie dimensioni, di 40 – 50mila euro l’anno. In più, i prezzi delle materie, del carburante e degli imballaggi salgono ogni giorno. Un trend che sembra inarrestabile – sono le parole di Cavalloro -. Molti di noi, in assenza di interventi straordinari, saranno costretti a chiudere entro l’anno”.

Sulla stessa lunghezza d’onda, Fiorentini, che ha snocciolato gli aumenti vertiginosi, negli ultimi dodici mesi, dei prezzi delle materie prime impiegate nei laboratori di pasticceria: non ci sono solo le farine, ma, ad esempio, il latte (+ 40 per cento) e le uova (dai 18 ai 32 euro di un cartone). “Diciamo la verità. Noi ci mettiamo una mano sulla coscienza, perché abbiamo da sempre un atteggiamento di grande responsabilità e di rispetto nei confronti dei nostri clienti e ci rendiamo conto della situazione di chi ha un basso reddito ed è costretto a tagliare i consumi. Ma così le imprese non possono reggere a lungo”.

Questo grido d’allarme che sale dal mondo produttivo non potrà essere ignorato dopo il 25 settembre.