Viterbo scende dal 43° al 46° posto. Civitavecchia invece peggiora e sale dal 36° al 32°. Si parla di pressione fiscale per artigiani e piccole imprese. E se nel primo caso l’incidenza sul reddito è pari al 62%, nel secondo si arriva al 63,2. Solo per saldare il conto con lo Stato, nella città dei Papi si lavora fino al 14 agosto, nella città del porto invece prima di iniziare a mettere via i soldi per la propria famiglia servono ancora 4 giorni. E’ quanto emerge da “Comune che vai, fisco che trovi”, il rapporto 2016 dell’Osservatorio CNA sulla tassazione di artigiani e piccole imprese in 124 Comuni, presentato ieri a Roma. “Una situazione intollerabile” in entrambi i casi, secondo la segretaria della CNA di Viterbo e Civitavecchia, Luigia Melaragni, e il presidente della CNA di Civitavecchia, Alessio Gismondi. Ma nell’ultima anche peggio.
Il riferimento è una impresa individuale, con cinque dipendenti, 430mila euro di fatturato e 50mila euro di utili, che utilizza un laboratorio artigiano di 350 metri quadrati e un negozio di 175 metri quadrati destinato alla vendita. La situazione in generale. Il 2015 ha segnato una discontinuità nelle politiche fiscali in Italia. Un beneficio che ha riguardato anche artigiani, micro e piccole imprese. Lo scorso anno, infatti, hanno visto calare il peso complessivo del fisco (total tax rate) al 60,9 per cento: il 3,6 per cento in meno rispetto al picco toccato nel 2012 (64,5 per cento).
Ecco cosa succede invece rispettivamente a Civitavecchia e Viterbo. Da una parte la pressione fiscale, attestatasi al 63,1, è scesa: – 2,7 sul 2012, – 2,9 sul 2014. Dall’altra, dal 61,9, pure: – 3,3 sul 2012, – 3,5 sul 2014. Ma il fisco in entrambi i casi continua a penalizzare fortemente le attività imprenditoriali. E per il 2016, purtroppo, il calo si arresta. Anzi, si prevede addirittura un lieve incremento (+ 0,1 per cento) del total tax rate. A Civitavecchia il tutto si traduce in una incidenza delle tasse sul reddito pari al 63,2 per cento. Ovvero qui l’imprenditore lavora ben 231 giorni l’anno, fino al 18 agosto, per pagare le tasse, solo 134 per la propria famiglia. A Viterbo invece si tocca il 62, per 227 giorni di lavoro l’anno per il fisco e 138 per la casa.
L’inversione di tendenza registrata nel 2015 rispetto al 2014 è merito esclusivo della diminuzione della pressione fiscale locale: del 9,1 per cento a Civitavecchia, del 9 a Viterbo. Il risultato arriva però principalmente dalla deducibilità completa dall’Irap del costo dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato. Mentre l’incidenza dell’Irpef e dell’aliquota dell’Ivs (Invalidità-vecchiaia-superstiti) a Civitavecchia è salita del 6,3 per cento (dal 32,7 al 39) e a Viterbo del 5,6 (dal 36,2 al 41,8).
Per il 2016, l’Osservatorio della CNA prevede un incremento della pressione complessiva, che deriva dall’aumento programmato dell’aliquota Ivs (parliamo di un esborso di 10.298 euro a Civitavecchia e 10.917 a Viterbo), solo in parte attenuato dall’elevazione della franchigia Irap a 13mila euro in entrambi casi. Del resto, la maggior parte degli interventi introdotti con Legge di stabilità del 2016 non produrranno effetti sensibili sulle imprese di minore dimensione, se non il beneficio che deriva dal super ammortamento relativamente agli investimenti effettuati nel corso dell’anno.
Il titolare dell’impresa, a conti fatti, nel 2016 metterebbe in tasca 8 euro in meno rispetto al 2015, disponendo dunque di un reddito netto di 18.420 euro nella città del porto, 16 euro in meno rispetto e un reddito netto di 19.021 euro invece in quella dei Papi.
“E’ una situazione insopportabile per le imprese. La pressione fiscale resta iniqua e altissima a Civitavecchia, comune che addirittura peggiora la propria posizione a livello nazionale”, dice Gismondi. “Prendiamo atto dell’arresto della pressione del fisco nel 2015. Ma la situazione resta intollerabile”, afferma Melaragni. C’è bisogno di modifiche nel sistema tributario, operando lungo tre direttrici: una più consistente riduzione della pressione fiscale; il capovolgimento della tendenza a trasferire sulle imprese gli oneri dei controlli; l’uso intelligente della leva fiscale per aumentare la domanda interna.
L’Associazione ha presentato dieci proposte concrete. E ha indicato che si deve cominciare dalla deducibilità completa dell’Imu sugli immobili strumentali dal reddito d’impresa. Le altre priorità: l’introduzione dell’Iri (imposta sul reddito delle imprese), per consentire alle imprese personali di allineare l’imposizione sui redditi reinvestiti in azienda a quella applicata alle società di capitali, e il principio di cassa nella determinazione del reddito delle imprese personali in regime di contabilità semplificata.
Le differenze tra le città radiografate dall’Osservatorio sono notevoli. La maglia nera va a Reggio Calabria, città con la fiscalità più elevata, con il total tax rate che tocca il 73,2. Non se la passano bene neppure Bologna (71,9) e Roma (69,8). All’opposto, si pagano meno tasse a Gorizia (ttr al 54,4) e a Cuneo (54,5).