logo cciaaTra gennaio e dicembre dello scorso anno gli italiani hanno visto 1,3 miliardi di euro in assegni e cambiali rinviate al mittente. Il “buco” è inferiore di quasi il 25% rispetto a quello del 2014 (quando sfiorò la quota di 1,8 miliardi) ed esattamente della metà rispetto al 2013 (quando superò il valore di 2,6 miliardi di euro).

Il 56% (oltre 733 milioni) riguarda le società, mentre il restante 44% (quasi 579 milioni) è rimasto nelle tasche di cittadini e imprenditori individuali insolventi.

Per quanto riguarda la provincia di Viterbo nel 2015 risultano protestati 362 assegni, per un importo medio ad assegno protestato pari a 3.451 euro (a fronte di una media nazionale di 3.961 euro), e 1.981 cambiali per un importo medio a cambiale di 1.807 euro (a fronte di una media nazionale di 1.293 euro).

E’ la fotografia scattata da Unioncamere-InfoCamere sui dati raccolti dalle Camere di Commercio.

L’ulteriore frenata dei “pagherò” scoperti sembra riflettere la persistente prudenza degli italiani nell’accettare impegni di pagamento, in un quadro di debolezza degli scambi che risente ancora degli effetti della lunga crisi.

Dall’analisi – che per la prima volta approfondisce la scomposizione dei protesti tra soggetti giuridici da un lato e persone fisiche e imprenditori individuali dall’altro – si evidenzia il peso che la componente imprenditoriale riveste sul fenomeno dei protesti. Come detto, oltre la metà del valore degli effetti protestati porta in calce la firma di una società, con punte che superano il 60% in sette regioni su venti, prima fra tutte l’Abruzzo con il 66,1%. Anche l’importo medio dei protesti che hanno coinvolto un’impresa (3.486 euro) si dimostra decisamente più pesante (più di tre volte, per la precisione) rispetto all’importo medio riferito alle persone fisiche (1.028 euro).

Sempre guardando alla componente societaria del fenomeno, la concentrazione maggiore di protesti per imprese sul territorio vede “primeggiare” le regioni meridionali. Al primo posto la Calabria, dove si registrano 18,1 protesti a carico di società ogni 100 imprese registrate nel territorio, seguita da Puglia (13,9) Campania (12,9) e Abruzzo (12,8). In coda a questa speciale classifica, con la sola esclusione della Lombardia, si collocano tutte le regioni dell’arco Alpino: dal Trentino – Alto Adige (dove si registrano 1,9 assegni e cambiali non pagate dalle società ogni 100 imprese della regione), alla Valle d’Aosta (2,7), al Veneto e Friuli – Venezia Giulia (entrambe con 3,3), per chiudere con Liguria (3,4) e Piemonte (3,7).