Il fisco è l’unica impresa italiana che non risente della crisi. I suoi conti vanno a gonfie vele. Rispetto al 2011, infatti, incassa quasi due miliardi di euro in più al mese. Ma com’è possibile che i contribuenti italiani siano chiamati a versare ancora altri 24 miliardi all’anno nelle casse pubbliche, centrali e locali, a dispetto del prodotto interno lordo in arretramento? Lo spiega una ricerca del Centro Studi della CNA dedicata alle “Entrate erariali e locali che incidono sulla pressione fiscale”.
L’annus horribilis per i contribuenti italiani è stato il 2012, quando la pressione fiscale è balzata dal 42,8 al 44,3%, complice anche il calo del Pil. Nel 2013 il fisco si è “limitato” a confermare nella sostanza le entrate, e anche la pressione fiscale, dell’anno precedente.
Nel 2012 la crescita del gettito è stata determinata per 12,4 miliardi da imposte indirette (comprese quelle di competenza europea), per 11,1 miliardi da imposte indirette e per 470 milioni da contributi sociali. In questo computo rientra anche la trasformazione delle “una tantum” in “una semper”. Nell’arco di dodici mesi, in altre parole, è avvenuto uno spostamento di circa 5,5 miliardi dalle entrate tributarie straordinarie (sostenute, per la maggior parte, da quanti hanno scelto di beneficiare di sanatorie, condoni e particolari agevolazioni fiscali) alle entrate strutturali a carico di tutti i contribuenti e, in particolare, delle imprese.
La responsabilità principale dell’aumento monstre della tassazione va addebitata alla trasformazione dell’Ici in Imu: la nuova imposta sugli immobili (che ha colpito selvaggiamente capannoni, laboratori, negozi, gli immobili strumentali insomma, quelli che creano lavoro e ricchezza diffusa) è costata ai contribuenti intorno ai 14 miliardi. Per effetto della doppia competenza comuni/erario, le maggiori entrate derivate dall’Imu sono ammontate a 6 miliardi per i comuni e a 8 miliardi per l’erario.
L’impennata del 24% dell’imposta di fabbricazione sui carburanti ha permesso al fisco di introitare maggiori entrate per 5 miliardi, maggiori entrate di certo non dovute alla crescita dei consumi, che anzi si sono ridotti, ma appunto all’exploit della tassazione. L’incremento dal 12,5 al 20% delle imposte sostitutive sulle rendite finanziarie ha portato, infine, altri 3,1 miliardi in più alle casse dello Stato.
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