Come stanno le imprenditrici a un anno dall’esplosione dell’emergenza da Covid-19? I dati di Unioncamere ci dicono che la pandemia ha bloccato la crescita delle imprese cosiddette in rosa. Ma la domanda, CNA l’ha girata direttamente alle protagoniste, attraverso un’indagine condotta dal Centro Studi e da CNA Impresa Donna a livello nazionale, con la partecipazione anche delle imprese del nostro territorio, e la risposta è che più di una imprenditrice o lavoratrice autonoma su due non si è fatta travolgere dall’annus horribilis 2020, ma il contraccolpo è stato duro. Quasi il 40% di questa platea l’anno scorso si è impegnato in maniera proattiva, ad esempio riorganizzando la propria attività, o ha continuato a lavorare registrando a fine anno risultati economici positivi. Viceversa, il 47% circa assicura che, se l’emergenza non sarà superata in breve tempo, potrebbe ridimensionare fortemente la propria attività (39,1%) o addirittura chiudere i battenti (8,3%).
Il 2020 ha messo a repentaglio, insomma, tanti progetti imprenditoriali, colpendo soprattutto le più giovani. Si prenda la Tuscia. Qui il tasso di femminilizzazione resta alto (27,5%, contro la media laziale del 22,1 e quella italiana del 22), con 10.436 imprese registrate, e la riduzione del numero delle attività guidate da donne è stata lieve (-0,08%, con 539 iscrizioni e 561 cessazioni). “Ma, per capire i riflessi reali della crisi, dobbiamo attendere l’andamento almeno nel primo trimestre 2021. E comunque questo stop preoccupa – osserva Luigia Melaragni, segretaria della CNA di Viterbo e Civitavecchia – tanto più in un territorio in cui l’occupazione femminile è del 45%, di oltre 20 punti inferiore a quella degli uomini, e, per citare il dato dell’ultimo Osservatorio della Camera di Commercio riferito ai giovani, nel 2019 il tasso di disoccupazione per le donne è salito al 62,8% (+12 punti rispetto al 2018), mentre per l’altro sesso è sceso dal 31,8 al 29,5. E la pandemia, come sappiamo, ha avuto effetti devastanti sul lavoro delle donne, a causa soprattutto del crollo dei servizi, dove è più alta la presenza femminile”.
“Mai come ora è fondamentale rilanciare l’occupazione femminile: il lavoro autonomo e quello subordinato, perché per la ripartenza, per costruire uno sviluppo sostenibile e una società più equa, il lavoro delle donne è strategico”, sottolinea Melaragni, invitando a “leggere” la fotografia che emerge dall’indagine condotta dalla CNA tra le imprenditrici: stati d’animo, atteggiamenti, risposte alla crisi, visioni sul futuro e soprattutto aspettative nei confronti dell’azione politica.
A livello psicologico, risultati economici a parte, il 2020 ha avuto un impatto perlopiù negativo: il 60,5% delle intervistate lo ha vissuto con sentimenti di preoccupazione, all’opposto il 37,5% ha affermato di aver guardato al futuro con speranza e fiducia. Le imprenditrici più pessimiste sono soprattutto quelle la cui attività è stata fondata prima del nuovo millennio, evidentemente provate dalle due precedenti crisi.
Ben quattro intervistate su cinque sono deluse dall’atteggiamento complessivo dell’opinione pubblica rispetto al loro lavoro, che è meno considerato di quello degli uomini. Un atteggiamento, a loro parere, condiviso dalla politica: due intervistate su tre lamentano la scarsa o nulla considerazione percepita.
Le più critiche nei confronti della politica sono anche quelle per le quali le tante difficoltà riguardanti la gestione dell’impresa non sono state evidentemente compensate da misure di ristoro fatte su misura per le donne imprenditrici. Questa chiave interpretativa sembra trovare conferma quando si vanno a considerare i giudizi per le misure inserite nella Legge di Bilancio 2021, che, lo ricordiamo, ha istituito un Fondo a favore dell’imprenditoria femminile (“da rendere subito operativo”, dice Melaragni).
I contributi a fondo perduto, che sono la misura ritenuta più utile dalle intervistate (53%), trovano maggior favore nell’area delle imprenditrici preoccupate (57,1%). Rispetto a queste ultime, le imprenditrici “ottimiste” esprimono invece un maggior favore per le misure in grado di favorire la gemmazione di nuove attività (finanziamenti agevolati e a tasso zero per avviare nuove imprese) e il consolidamento di quelle esistenti: percorsi di assistenza tecnico-gestionale e investimenti nel capitale a beneficio delle imprese.
Infine, anche la valutazione delle misure ritenute più idonee per favorire la conciliazione famiglia-lavoro appare influenzata dal modo in cui le imprenditrici hanno vissuto l’anno della pandemia.
Se infatti, complessivamente, quasi il 51,4% delle intervistate indica negli investimenti in servizi per l’infanzia (asili nido e scuole materne) e per l’assistenza agli anziani la misura su cui puntare principalmente, questa preferenza viene espressa con maggiore decisione dalle imprenditrici “più reattive” (quasi il 55%). Rispetto alla media campionaria, le “più preoccupate” esprimono invece un maggior favore per misure fruibili nell’immediato (assegno per unico per figli a carico e voucher per acquistare servizi utili alla conciliazione famiglia-lavoro), ritenute le più necessarie per compensare, almeno in parte, la riduzione del reddito derivante dalla crisi.
“Le imprenditrici dettano l’agenda per una nuova economia che superi le disparità di genere. Attendiamo i fatti. CNA, insieme con le imprenditrici associate, continuerà a lavorare per la valorizzazione del lavoro femminile”, conclude Melaragni.