Un antidoto contro la crisi prima, uno stimolo per agganciare e sostenere la ripresa poi. E un indubbio fattore di competitività: che trova le sue radici nel peculiare modello economico nazionale, in cui efficienza, qualità e bellezza, coesione sociale e legami territoriali alimentano i fatturati delle imprese. E anche un’arma in più per contrastare i mutamenti climatici, in linea con quanto indicato dal recente rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change). Questo dimostra di essere la green economy italiana, grazie a quelle aziende, un quarto del totale, che negli ultimi cinque anni hanno fatto investimenti green.
Lo racconta GreenItaly 2018: il nono rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere – promosso in collaborazione con il Conai e Novamont, con il patrocinio del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare – che misura e pesa la forza della green economy nazionale (oltre 200 best practice raccontate, grazie anche alla collaborazione di circa trenta esperti). Sono oltre 345.000 le imprese italiane dell’industria e dei servizi con dipendenti che hanno investito nel periodo 2014-2017, o prevedono di farlo entro la fine del 2018 (nell’arco, dunque, di un quinquennio) in prodotti e tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni di CO2. In pratica un’azienda italiana su quattro, il 24,9% dell’intera imprenditoria extra-agricola. E nel manifatturiero sono quasi una su tre (30,7%). Solo quest’anno, anche sulla spinta dei primi segni tangibili di ripresa, circa 207 mila aziende hanno investito, o intendono farlo entro dicembre, sulla sostenibilità e l’efficienza.
Il rapporto è stato presentato stamattina a Roma presso la sede di Unioncamere da Ermete Realacci, presidente Fondazione Symbola e Carlo Sangalli, presidente Unioncamere, alla presenza di Catia Bastioli, amministratore delegato Novamont, Giorgio Quagliuolo, presidente Conai, Francesco Starace, amministratore delegato Enel, e del sottosegretario al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare Salvatore Micillo.
Green economy e competitività.
Non è difficile capire le ragioni di questi investimenti. Le aziende di questa GreenItaly hanno un dinamismo sui mercati esteri nettamente superiore al resto del sistema produttivo italiano: con specifico riferimento alle imprese manifatturiere (5-499 addetti), quelle che hanno visto un aumento dell’export nel 2017 sono il 34% fra chi ha investito nel green contro il 27% tra chi non ha investito. Queste imprese innovano più delle altre, quasi il doppio: il 79% ha sviluppato attività di innovazione, contro il 43% delle non investitrici. Innovazione che guarda anche a Impresa 4.0: mentre tra le imprese investitrici nel green il 26% adotta tecnologie 4.0, tra quelle non investitrici tale quota si ferma all’11%. Sospinto da export e innovazione, anche il fatturato cresce: basti pensare che un aumento del fatturato nel 2017 ha coinvolto il 32% delle imprese che investono green (sempre con riferimento al manifatturiero tra 5 e 499 addetti) contro il 24% nel caso di quelle non investitrici.
Green Jobs: occupazione e innovazione.
Alla nostra green economy si devono già 2 milioni 998 mila green jobs, ossia occupati che applicano competenze ‘verdi’. Il 13% dell’occupazione complessiva nazionale. Un valore destinato a salire ancora entro l’anno: sulla base delle indagini Unioncamere si prevede una domanda di green jobs pari a quasi 474.000 contratti attivati, il 10,4% del totale delle richieste per l’anno in corso, che si tratti di ingegneri energetici o agricoltori biologici, esperti di acquisti verdi, tecnici meccatronici o installatori di impianti termici a basso impatto; e nel manifatturiero si sfiora il 15%. Focalizzando infine l’attenzione sui soli dipendenti e scendendo nel dettaglio delle aree aziendali, notiamo come in quella della progettazione e della ricerca e sviluppo il 63,5% dei nuovi contratti previsti per il 2018 siano green, a dimostrazione del legame sempre più stretto tra green economy e innovazione aziendale.
“In Italia – spiega Ermete Realacci, presidente di Symbola, Fondazione per le qualità italiane – questo cammino verso il futuro incrocia strade che arrivano dal passato e che ci parlano di una spinta alla qualità, all’efficienza, all’innovazione, alla bellezza. Una sintonia tra identità e istanze del futuro che negli anni bui della crisi è diventata una reazione di sistema, una sorta di missione produttiva indicata dal basso, spesso senza incentivi pubblici, da una quota rilevante delle nostre imprese. Una scelta coraggiosa e vincente. Per le imprese, che investendo diventano più sostenibili e soprattutto più competitive. E per il Paese, che nella green economy e nell’economia circolare ha riscoperto antiche vocazioni (quella al riciclo e all’uso efficiente delle risorse) e ha trovato un modello produttivo che grazie all’innovazione, alla ricerca, alla tecnologia ne rafforza l’identità, le tradizioni, ne enfatizza i punti di forza. Un modello produttivo e sociale che offre al Paese la possibilità di avere un rilevante ruolo internazionale: già oggi l’Italia è una superpotenza nell’economia circolare”.
“Fa piacere, anno dopo anno, constatare la forza ed i primati di questa Italia ‘verde’, svelarne il dinamismo imprenditoriale, scoprirne le capacità sui mercati e l’attitudine a creare lavoro di qualità”, sottolinea il presidente di Unioncamere, Carlo Sangalli. “Oggi un quarto delle nostre imprese parla il linguaggio della green economy, che significa rispetto per l’ambiente, tutela del territorio e delle sue risorse. Un linguaggio strettamente connesso con l’innovazione in tutte le sue forme, inclusa l’adozione delle tecnologie di Impresa 4.0. E siamo contenti di poter dare il contributo del sistema camerale anche alla diffusione della cultura della sostenibilità, fondamentale per assicurare il benessere e il futuro dei nostri territori”.
Leadership europea nelle performance ambientali
Le imprese di GreenItaly, incluse le PMI, hanno spinto l’intero sistema produttivo nazionale e il Paese verso una leadership europea nelle performance ambientali. Leadership che fa il paio coi nostri primati internazionali nella competitività.
– Materie prime. Eurostat ci dice che l’Italia con 307 tonnellate di materia prima per ogni milione di euro prodotto dalle imprese è molto più efficiente della media Ue (455 tonnellate), collocandosi terza nella graduatoria a ventotto paesi, dietro solamente al Regno Unito (236 t) e al Lussemburgo (283 t), e davanti a Francia (326 t), Spagna (360 t) e Germania (408 t).
– Energia. Siamo secondi tra i big player europei, dietro al solo Regno Unito, per consumi energetici per unità di prodotto. Dalle 17,3 tonnellate di petrolio equivalente per milione di euro del 2008 siamo passati a 14,2; la Gran Bretagna (un’economia in cui finanza e servizi giocano un ruolo molto importante) ne consuma 10,6; la Francia 14,9; la Spagna 15,7; la Germania 17,0.
– Emissioni. Italia da primato anche nella riduzione delle emissioni in atmosfera: terzi tra le cinque grandi economie comunitarie (104,2 tonnellate CO2 per milione di euro prodotto): dietro alla Francia (85,5 t, in questo caso favorita dal nucleare) e al Regno Unito (93,4 t; pesa, come nel caso dell’energia, il ruolo della finanza) ma davanti a Spagna e Germania.
– Rifiuti. Con 43,2 tonnellate per ogni milione di euro prodotto (1,7 t in meno del 2008) siamo i più efficienti nella riduzione dei rifiuti tra le cinque grandi economie europee, di nuovo molto meglio della Germania (67,6 t per milione di euro prodotto) e della media comunitaria (89,3 t).
– Economia circolare. Per ogni chilogrammo di risorsa consumata il nostro Paese genera (a parità di potere d’acquisto) 4 € di Pil, contro una media europea di 2,2 e valori tra 2,3 e 3,6 di tutte le altri grandi economie continentali, come stima l’Istituto di ricerche Ambiente Italia. Siamo il Paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti (urbani, industriali etc., inclusi quelli minerari): con il 79% di rifiuti avviati a riciclo l’Italia presenta un’incidenza più che doppia rispetto alla media europea (38%) e ben superiore rispetto a tutti gli altri grandi Paesi europei: la Francia è al 55%, il Regno Unito al 49%, la Germania al 43%. Siamo il primo Paese in Europa per fatturato pro-capite nel settore dello sviluppo dei prodotti basati su processi biologici (come le bioplastiche), grazie al fatto che siamo i più avanzati in innovazione e sviluppo di tecnologia. Siamo, insieme alla Germania, il Paese leader europeo in termini di quantità di materie seconde riciclate nell’industria manifatturiera: e questa sostituzione di materia nell’economia italiana comporta un risparmio potenziale pari a 21 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e a 58 milioni di tonnellate di CO2. Tutti gli obiettivi fissati dalle nuove direttive europee sui rifiuti urbani al 2025 o sono già stati raggiunti (come, caso esemplare in Europa grazie al sistema Conai, per il totale degli imballaggi e per tutti i singoli materiali, ad eccezione della plastica) o sono prossimi ad essere raggiunti (come l’obiettivo di raccolta differenziata). Sono in ogni caso necessarie semplificazioni normative, un’incentivazione degli acquisti verdi e un’impiantistica adeguata.
Geografia degli eco-investimenti
Molte le imprese green nelle Regioni del Nord, ma la loro presenza è diffusa in tutto il territorio nazionale. La Lombardia è la Regione con il più alto numero di imprese eco-investitrici: ne conta 61.650, seguono il Veneto con 34.797 unità, il Lazio con 32.545 imprese green, l’Emilia-Romagna a quota 28.270 e la Campania con 26.176. Quindi troviamo il Piemonte con 25.272, la Toscana (23.163),, la Sicilia (21.954), la Puglia (20.355) e la Calabria (9.818). A livello provinciale, in termini assoluti, Roma (25.082) e Milano (21.547) guidano la graduatoria delle imprese che investono in tecnologie green, staccando nettamente le altre province italiane. In terza, quarta e quinta posizione, con oltre 9.000 imprese eco-investitrici si collocano Torino, Napoli e Bari.
Dove sono più richiesti i green jobs
La prima Regione per numerosità assoluta di contratti relativi a green jobs la cui attivazione è prevista per il 2018 è la Lombardia, dove se ne contano 123.380, pari a poco più di un quarto del totale nazionale (26,1%); seguita a distanza dall’Emilia Romagna con 45.562 richieste di green jobs (9,6%), dal Lazio, con 45.480 attivazioni (9,6% del totale nazionale), quindi da Veneto a quota 42.654 (9%) e Piemonte con 38.869 (8,2%). Troviamo poi la Campania (29.467, 6,2%), la Toscana (23.637, 5% del totale nazionale), la Puglia (20.912, 4,4%), la Sicilia (19.994, 4,2%) e il Friuli Venezia Giulia (11.546, 2,4%).
Avvicinandoci ancor di più ai territori, le prime province per numerosità assoluta di attivazioni programmate di contratti relativi a green jobs sono quelle costituite dalle grandi realtà di Milano, con 63.242 nuove posizioni, e Roma, con 37.570. In terza posizione c’è Torino, dove la domanda di green jobs è di 23.478 unità, quarta Napoli con 16.761 attivazioni, quinta Brescia con 14.977.
Graduatoria regionale secondo la numerosità delle imprese che hanno effettuato eco-investimenti nel periodo 2014-2017 e/o investiranno nel 2018 in prodotti e tecnologie green
Prime dieci province italiane per valore assoluto delle imprese che hanno effettuato eco-investimenti nel periodo 2014-2017 e/o investiranno nel 2018 in prodotti e tecnologie green
(valori assoluti e incidenza percentuale delle imprese green sul totale delle imprese della provincia)
Pos. |
Province |
Imprese che investono nel green (v.a.) |
Incidenza % su totale imprese della provincia |
1 |
Roma |
25.082 |
26,7 |
2 |
Milano |
21.547 |
24,3 |
3 |
Torino |
14.379 |
30,4 |
4 |
Napoli |
12.616 |
21,7 |
5 |
Bari |
9.617 |
25,5 |
6 |
Brescia |
8.155 |
24,4 |
7 |
Bologna |
7.255 |
28,5 |
8 |
Firenze |
7.229 |
25,1 |
9 |
Padova |
6.995 |
28,0 |
10 |
Bergamo |
6.884 |
26,0 |
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Fonte: Fondazione Symbola, Unioncamere – GreenItaly, 2018