L’occupazione nelle piccole imprese italiana cala sul mese precedente anche a settembre (-0,4%) dopo lo scivolone di agosto (-1,2%). Mentre la crescita su base annua segna un deciso rallentamento, scendendo al 2,7% rispetto a settembre 2017 contro il +3,7% registrato nei dodici mesi intercorsi fra settembre 2016 e settembre 2017.
Lo rileva l’Osservatorio mercato del lavoro CNA, curato dal Centro studi della Confederazione, che analizza mensilmente l’andamento dell’occupazione (su un campione di oltre 20mila imprese associate con 140mila dipendenti) a partire da dicembre 2014, alla vigilia delle riforme che hanno profondamente mutato la legislazione sul lavoro nel nostro Paese.
Le nubi che si addensano sull’economia mondiale, e italiana, seminano incertezza, quindi, tra artigiani, micro e piccole imprese. A confermarlo un altro dato: è vero che il periodo estivo non è tradizionalmente felice per il lavoro ma a settembre 2017 la base occupazionale era tornata intorno ai livelli del precedente maggio, quest’anno l’arretramento estivo l’ha condotta poco al di sopra di aprile.
A questo andamento non brillante dell’occupazione nelle piccole imprese probabilmente contribuisce anche il Decreto Dignità. A settembre i flussi di lavoratori in entrata e in uscita hanno raggiunto il tetto dal dicembre 2014, coinvolgendo il 7,6% degli addetti. Un primo effetto, forse, della reintroduzione della causale nei contratti a tempo determinato di durata superiore all’anno, che spinge le imprese a occupare la manodopera non strategica per periodi inferiori ai dodici mesi.
In un anno, le assunzioni nelle piccole imprese sono aumentate del 9,9%, le cessazioni del 15,6%. Nel frattempo, l’esigenza avvertita dalle imprese di gestire la manodopera in maniera flessibile e coerente con le proprie necessità ha facilitato la ricomposizione dell’occupazione usando le diverse tipologie contrattuali. I dipendenti con contratto a tempo indeterminato, infatti, sono diminuiti del 6,6% rispetto a settembre 2018 mentre sono cresciuti gli assunti con le altre modalità: tempo determinato (+26,3%), apprendistato (+19,5%) e lavoro intermittente (+18,7%). Va rilevato, però, che questa spinta, più decisa fino a giugno scorso, si è poi interrotta, lasciando sostanzialmente inalterati nei mesi seguenti il livello di addetti dal contratto a tempo indeterminato (intorno al 63% del totale) e la quota di assunti a tempo determinato, prossima al 24%.